articolo apparso sul numero 2 del 2015
Il 22 aprile la Camera dei deputati ha approvato
in via definitiva la legge di riforma della normativa sul divorzio, il
cosiddetto ‘divorzio breve’, che
sarà tra poco pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e diventerà legge operativa.
A
41 anni dal referendum abrogativo del 1974 (che registrò una maggioranza
schiacciante per il NO), a 28 anni dalla prima riforma di questo importante
istituto, e dopo dieci anni di discussioni in Parlamento, cancellare il proprio
matrimonio diventerà, da domani, un percorso più breve e più snello.
Il
cardine della riforma consiste in un drastico accorciamento dei tempi. Tra la
separazione e il divorzio non si dovranno più aspettare 3 anni, ma sei mesi se
l’addio è consensuale e un anno se il percorso è giudiziale. E nulla cambia se
nella ex coppia ci sono o no figli minori: i tempi restano uguali. Ed inoltre
cambiano anche le norme sul versante patrimoniale, perché la comunione dei beni
potrà essere sciolta nello stesso momento in cui si sottoscrive la separazione.
Il
cambiamento è vero e radicale e potrà incidere anche sulle cause di separazioni
in corso, che potranno usufruire dei tempi adesso abbreviati.
Per
arrivare a questa riforma ci sono voluti più di dieci anni, perché è del 2003
il primo disegno di legge sul divorzio breve ed il provvedimento ha avuto nelle
aule parlamentari una schiacciante maggioranza.
Abbiamo
chiesto un breve commento su questa riforma ad alcune personalità del mondo
dell’associazionismo e delle professioni. Ecco quello che ci hanno detto:
Francesco Belletti, Presidente
del Forum delle associazioni familiari.
- Più che di una conquista, io parlerei di una conferma. È come se il
legislatore avesse detto: fare famiglia è un ‘affare privato’, quindi nel bene
e nel male, cari cittadini dovete arrangiarvi. Non aspettatevi niente
dall’intervento pubblico. Sono solo “affari vostri”. Certamente sappiamo che il
legame familiare può andare incontro a crisi. Però, che esso sia un fatto
totalmente autonomo, privato, da affidare agli avvocati, ci sembra una
sconfitta. Perché quando una coppia va in crisi, invece di poter trovare un
referente, uno ‘sportello’ della comunità che possa con delicatezza prendersi
in carico la situazione, viene abbandonata a se stessa. La famiglia viene considerata un fattore
diverso e lontano dalla collettività. Una realtà a se.
Francesco
Lanatà, Presidente dell’UCIPEM.
-Sembra quasi che ci sia una parola d’ordine segreta: ”La famiglia
tradizionale deve sparire. Deve sparire il sacramento del matrimonio e i suoi
annessi.” È una manovra iniziata già da
molti anni in maniera a volte più velata, altre volte in maniera più manifesta.
La famiglia “vera”, quella con tutti i difetti a cui noi ogni tanto
riusciamo a mettere una toppa, oggi la vediamo sempre più depotenziata,
svilita, depauperata di risorse, dipinta come luogo di tragedie, penalizzata,
offesa.
Sono tuttavia certo che verrà il momento in cui l’uomo si accorgerà che
l’amore, quello vero, quello gratuito, può partire solo dalla famiglia e può
essere insegnato solo da genitori che hanno voluto i figli per amore e non da
due persone tenute insieme solo da un labile contratto, che non tutelerà mai
nessuno.
Rita
Roberto, Presidente dell’A.I.C.C.e F.
Le notizie dell’approvazione della
legge sul divorzio breve mi hanno messo in risonanza con le parole
profetiche di Bauman: “La relazione tra
due persone segue il modello dello shopping (..). Al pari di altri prodotti di
consumo, è fatta per essere consumata sul posto, essere usata una sola volta.. e
per potersene disfare senza problemi. Se ritenute scadenti o non di piena soddisfazione
le merci possono essere sostituite con altri prodotti…e anche se mantengono le promesse, nessuno si
aspetta da esse che durino a lungo; dopo tutto, automobili, computer o telefoni
cellulari, ancora funzionanti, vengono gettati via senza troppo rammarico...
Perché mai le relazioni dovrebbero fare eccezione alla regola?”.
Questa domanda merita una risposta, unitamente a quelle
altrettanto importanti quali: perché tutta
questa fretta? C’è veramente una gran quantità di coppie che vogliono
divorziare ma sono costrette ad aspettare? Che effetto avranno queste leggi sul
sistema famiglia e sul suo ciclo vitale ? e sui minori? Cosa si può fare per
salvaguardare le relazioni di coppia e familiari come bene comune
irrinunciabile?
Ma a chi spettano queste risposte? Certo non possono
provenire solo da una parte e sempre dalla stessa che cerca di sostenere la
famiglia e gli individui che ne fanno parte durante il suo intero arco di vita:
il mondo cattolico, del volontariato, delle associazioni di famiglie, dei
consultori privati e dei consulenti della coppia e della famiglia, tanto per
citarne alcuni. Penso che i parlamentari debbano fare gesti concreti e
congruenti di politiche adeguate per la famiglia, per prevenire e superare le
crisi, ma anche per restituirle
parola, dignità, valore e fiducia. Mettendola nella condizione di non delegare
a nessuno la sua unica, specialissima e caleidoscopica funzione.
Lasciarsi senza far volare gli stracci e senza dover passare per un
tribunale. Un’opportunità che le coppie in crisi possono percorrere già dallo
scorso settembre e che sembra lentamente farsi strada come modalità più soft e
più adulta, anche se, immaginiamo, ugualmente dolorosa.
Le nuove norme che riformano il processo civile, emanate soprattutto per la
riduzione dell’arretrato e delle cause pendenti presso i tribunali, sono legge
dal 13 settembre dello scorso anno. La
legge sulla riforma della giustizia civile, n. 162 del 10 novembre 2014, prevede
che le coppie in crisi definitiva, che hanno intenzione di separarsi, possano
ricorrere all’istituto della cosiddetta “negoziazione assistita”, ovvero
farsi seguire da almeno una coppia di avvocati (uno per parte), che le guidi
verso una separazione soft.
Il fine della norma è di stimolare le parti al raggiungimento di una
soluzione di separazione personale senza adire l’autorità giudiziaria ed
affidando il ruolo di negoziatore all’avvocato. La negoziazione assistita, consentita
anche in caso di figli minori, o maggiorenni incapaci o con handicap, produce la
cessazione degli effetti civili del matrimonio o il suo scioglimento, e si può
accedere ad essa anche per modificare le condizioni di separazione precedentemente
stabilite. L’accordo tra i coniugi, raggiunto davanti agli avvocati, facendo a
meno dei giudici, deve essere, tuttavia, sottoposto al visto del Procuratore
della Repubblica competente, che deve rilasciare il nullaosta. La separazione
extragiudiziale va poi registrata dall’ufficiale di stato civile del Comune in
cui era stato iscritto il matrimonio. Una procedura, economica e snella, studiata
per facilitare i coniugi ed anche per deflazionare il carico di lavoro dei
tribunali civili, afflitti da oltre cinque milioni di cause pendenti.
Dai primi dati disponibili risulta che le cause di separazione consensuale
finite sui tavoli dei giudici nel 2014 sono diminuite, rispetto all’anno prima,
del 4%, contro un aumento del 2% delle separazioni giudiziali.
Alla misura della negoziazione assistita, la legge 162 (che si intitola,
con termine didascalico: Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione) affianca un’altra
norma che consente ai coniugi che si stanno lasciando di formalizzare questo
loro accordo davanti al sindaco, quale ufficiale di stato civile, del comune
dove è stato celebrato il matrimonio. In questo caso l’assistenza dell’avvocato
è facoltativa, ma la procedura non si può applicare se la coppia ha figli
minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o se sono
economicamente non autosufficienti
A qualche mese dall’entrata in vigore di questa disposizione, il Ministero
dell’Interno ha monitorato l’attività degli uffici di stato civile di 15
Comuni, ed ha rilevato che lo scorso gennaio sono state presentate 80 richieste
di separazione stragiudiziale, diventate 180 a febbraio. Proiettando questi
dati - comunque destinati a crescere, se ci si attiene all’andamento dei due
mesi - si ottiene che circa 6mila coppie, intenzionate a separarsi,
ricorreranno alla procedura davanti al
Comune, senza andare in tribunale.
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