(Pubblicato su Il Consulente familiare n. 2 del 2015)
La prima cosa che una persona, che si presenta da un professionista, vuole e deve sapere è quale disciplina, teoria o tecnica svolge il professionista stesso e cosa si può aspettare di ricevere dall’attività professionale di chi ha deciso di interpellare.
La prima cosa che una persona, che si presenta da un professionista, vuole e deve sapere è quale disciplina, teoria o tecnica svolge il professionista stesso e cosa si può aspettare di ricevere dall’attività professionale di chi ha deciso di interpellare.
È naturale che
vogliamo sempre essere consapevoli di dove siamo andati a cascare e in che mani
ci siamo messi, anche se l’aver scelto autonomamente (o su consiglio
volutamente seguito) quel professionista avvalla la scelta di per sé,
alimentando il primo embrione della fiducia, (quantomeno nella nostra scelta).
E la prima cosa che
deve fare il professionista che riceve per la prima volta un cliente, a
prescindere dalla targhetta sulla parete, dalla pubblicità su internet o dalla
struttura in cui si trova ad esercitare, è quello di informare la persona che
gli sta davanti della propria attività, della disciplina che pratica o
impartisce, degli strumenti che adopera, o non adopera, e, non ultimo, dei
titoli che gli consentono di esplicare quella specifica attività.
Mi viene in mente, a
proposito di questa duplice esigenza di chiarezza reciproca, lo spezzone di un
film, molto ‘consulenziale’ che si utilizza come esercizio didattico nelle
lezioni del <modulo AICCeF> agli alunni delle Scuole di formazione del
primo anno. Questo breve video di un film francese, intitolato Confidenze troppo intime, del 2004,
racconta di una giovane donna che ha preso un appuntamento con uno psicoanalista,
per i suoi problemi esistenziali e di coppia, ma sul pianerottolo sbaglia ad
imboccare la porta giusta ed entra in un altro studio, apparentemente simile a
quello che cercava, dove viene accolta da un serio e compunto professionista,
che analista non è, ma che la riceve e la accoglie. Il gentile signore la
ascolta ma non interviene e non si qualifica. La donna si apre e parla
rilassata ed tranquilla. E va via più serena di quando è entrata. Da qui si
dipana una storia molto godibile e innocente, che si basa sulla relazione
personale e sulla reciproca confidenza.
Ma questo è un film.
Ritorniamo
all’argomento dell’articolo. Accertato che il cliente-consumatore ha diritto di
sapere, ne deriva che il professionista ha il dovere di informare. Una
informazione orale e scritta. Perché il mezzo da cui risulta e si dimostra che
il professionista ha informato il cliente, deve essere chiaro, trasparente,
esaustivo e rispettoso della normativa.
Il Contratto di Consulenza e Consenso informato che ha strutturato l’AICCeF e che viene
adottato dai Consulenti Familiari, tende a raggiungere questi risultati ed è predisposto
in modo da rispondere a molteplici esigenze.
È, prima di tutto, un
contratto professionale perché sancisce l’accordo tra professionista e cliente
per instaurare una prestazione professionale, non importa se onerosa o gratuita.
Il cliente, che trascrive le sue generalità sul modulo, incarica il Consulente
Familiare di svolgere una prestazione per lui, e perfeziona, con la firma, un
contratto di natura professionale. “Affidandosi
al Consulente…“ è scritto sul modulo, che è una formula quasi romantica, in
cui si esprime la fiducia del cliente di mettersi nelle mani del Consulente che
lo guiderà per percorsi conosciuti o di cui il cliente dovrà essere chiaramente
informato.
n tale accordo le
parti devono risultare chiare e identificabili, per cui è sempre bene fare
indicare, oltre al nome e cognome, anche data e luogo di nascita del
richiedente. Se tali dati non sono veritieri (alle volte capita che il cliente
sia eccessivamente riservato e timoroso di lasciare i suoi dati), questo non
inficia il contratto, che mantiene il suo contenuto e la sua essenza, né ascrive
al professionista alcuna responsabilità oppure obbligo di accertamento.
Dal canto suo il
Consulente deve indicare il proprio nominativo, la qualifica professionale che
gli permette di esercitare quell’attività e deve informare il cliente di una
serie di circostanze importanti per la prosecuzione della relazione d’aiuto.
In primis di essere
iscritto ad una Associazione professionale che ne garantisce e tutela la
professione (punto 1). Questa indicazione, riservata dalla legge ai professionisti
non appartenenti ad ordini o collegi, garantisce al cliente che egli segue i
principi e le regole di un Codice Deontologico specifico ed è tutelato e
‘controllato’ da un’organizzazione che ha come scopo sociale questa funzione.
Il Contratto prosegue
con la illustrazione di cosa è la Consulenza Familiare (p.2), in che cosa
consista la relazione d’aiuto che si sta attivando e soprattutto a chiarire che
la Consulenza non è una terapia, non si occupa di patologie e non prevede
farmaci. E’ un punto fondamentale nel primo rapporto col cliente, perché
chiarisce l’attività che si sta per intraprendere e sgombra il campo da
equivoci o eventuali fraintendimenti. È una circostanza che il Consulente avrà
cura di spiegare chiaramente e dettagliatamente a voce prima di intraprendere
il percorso
Così come spiegherà
che sarà sua cura informare della prevedibile durata della Consulenza (punto 5)
e di come si concluderà il percorso, in modo naturale o, se lo richiede il
cliente in modo anticipato (punto 7).
Egli deve, poi,
indicare che la sua attività è disciplinata da una legge dello Stato (punto 3).
Questo è un obbligo cogente, il cui adempimento è anche sanzionato.
Infatti la legge 14
gennaio 2013, n.4, che ha emanato le famose ‘Disposizioni in materia di professioni
non organizzate’, stabilisce all’articolo 1 comma 2 che:
Chiunque
svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria
attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso
riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della presente
legge.
L'inadempimento
rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori,
di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo
codice.
Gli artt. 20 e 27 del
Codice del consumo attribuiscono all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato la competenza ad esaminare i
ricorsi dei cittadini, o delle Associazioni dei consumatori, per pratiche
scorrette messe in atto dai professionisti (in genere) ed ad applicare le
sanzioni previste dal Codice stesso.
Proseguendo
nell’esame del modulo, arriviamo al punto in cui esso informa che il Consulente
è tenuto al segreto professionale. Il segreto professionale è un obbligo assoluto
e inderogabile nella sua sacralità, che rappresenta un fondamentale impegno etico,
deontologico e giuridico. Etico perché divulgare segreti appresi durante
relazioni d’aiuto è contrario alla morale ed ai principi sociali; deontologico
perché è chiaramente stabilito come comportamento professionale nel Codice
Deontologico del Consulente Familiare; giuridico perché sancito dal Codice
penale e dalle leggi sulla riservatezza dei dati personali.
Il Codice penale,
all’art. 622, punisce chi, per ragione del proprio stato, ufficio o
professione, rivela, senza giusta causa, un segreto appreso oppure lo impiega a
proprio vantaggio o a vantaggio di altri,
con la reclusione e una multa. (ma
di questo parleremo più diffusamente in un futuro articolo, n.d.r.).
Punto importante è
quello in cui si parla di soggetti minorenni o incapaci (punto 6). Non è
pacifico né unanimemente accettato, tra i Consulenti Familiari, che le
consulenze ai minori si possano effettuare solo se vi è l’autorizzazione dei
genitori, o di chi ne ha la tutela. Si pensa, a volte, che non trattandosi di
pratiche ‘sanitarie’, la relazione di aiuto possa essere intrapresa anche
senza, o a volte anche ‘contro’, il parere dei genitori. Bisogna stare molto
attenti quando si tratta di minori perché la legge è molto severa in materia.
Ciò non toglie che in casi di emergenza (un colloquio ‘urgente’) si possa dare
assistenza a un minore, ma poi per proseguire è caldamente consigliato di farsi
rilasciare la autorizzazione dai genitori (e se viene adombrato un pericolo per
l’incolumità del minore in ambito familiare, è buona regola rivolgersi ai
servizi sociali).
I punti 8, 9 e 10
riguardano il trattamento dei dati personali e l’informativa obbligatoria che
ogni professionista deve effettuare ai propri clienti, per consentire loro di
dare un consenso informato allo stesso trattamento. Il titolare del trattamento
è la persona responsabile della raccolta e della conservazione dei dati personali
dei clienti e se il Consulente è libero professionista indicherà se stesso,
mentre, invece, se esercita presso una struttura pubblica o privata, verrà
indicato il funzionario delegato o il legale
rappresentante dell’ente.
Non è il caso di
fare, in questa sede, la differenza tra dati personali e dati sensibili, perché
la procedura per la loro raccolta, conservazione e trasmissione è notevolmente
diversa. Accontentiamoci di dire che, ai fini della consulenza e della
formazione dell’archivio dei Consulenti o dei Consultori, è sufficiente
raccogliere solo i dati personali.
Infine la doppia
firma del cliente, una per accettazione dell’inizio del contratto professionale
e una per il consenso al trattamento dei dati personali, di cui è stato
esaurientemente informato.
Con queste due firme
si è perfezionato formalmente il contratto di consulenza e consenso informato.
Formalmente perché
deontologicamente il Consulente si deve accertare che il cliente abbia firmato
un modulo senza conoscere il contenuto, fidandosi soltanto delle persone. È
bene non sottoporgli alla lettura un modulo da firmare, ma spiegare, con
pazienza e dovizia, di che cosa si tratta, su cosa deve essere informato e
perché deve apporre quelle firme.
Sarà una
soddisfazione per noi e per lui.
Maurizio Qualiano
Consulente familiare
di Lucca
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